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Il Parco

Le zone umide

La Maremma di prima delle bonifiche

Fino all’epoca delle bonifiche, compiute fra l’inizio dell’Ottocento e gli anni Trenta del Novecento, quasi tutte le pianure maremmane erano piene di paludi e ristagni d’acqua stagionali di ogni dimensione. Si andava dal gigantesco padule di Castiglione, residuo dell’ancora più grande lago Prile dell’Antichità, ai “chiari” creati dalle periodiche esondazioni dell’Ombrone, come quelli tipici della Tenuta dell’Alberese. Come tutte le zone umide, erano ambienti di straordinaria produttività biologica. Grazie alla presenza dell’acqua e al rapido riciclaggio dei sali minerali contenuti nella sostanza organica morta, la riproduzione e crescita delle alghe del plancton e delle piante erano rapidissime. La massa vegetale alimentava così un brulichio di piccoli crostacei, pesci, insetti acquatici e larve di insetti, a loro volta cibo per enormi numeri di animali più grandi, fra i quali soprattutto gli uccelli. Durante l’estate questi ambienti erano infestati dalla malaria, ma d’inverno sono stati frequentati per secoli dai cacciatori, che vi facevano bottini ricchissimi, oggi difficili anche da immaginare.

Le aree umide di oggi

Le bonifiche hanno eliminato quel mondo, ma 700 ettari di ambienti umidi, ormai liberi dalla malaria, sono ancora conservati nel parte settentrionale del territorio del Parco, all’interno di un paesaggio seminaturale o agricolo che ha al centro il tratto finale del fiume Ombrone. 

Le rive boscose dell’Ombrone sono quello che rimane del bosco planiziario umido che fino alla bonifica copriva tutte le pianure maremmane, e sono per questo un corridoio ecologico importantissimo che collega il territorio del Parco alle zone interne dell’Appennino. Da qui probabilmente sono giunti i lupi che lo hanno ripopolato. Corridoi ecologici minori, e altrettanti rifugi per la fauna, sono le sponde dei tanti canali di bonifica che drenano le acque della pianura.

A nord del fiume, in una zona di riserva integrale, si trova la grande palude della Trappola, sfuggita alla bonifica perché era una riserva di caccia privata. Con le piogge autunnali, l’acqua si accumula fino all’altezza di poco più di un metro in grandi depressioni che erano in origine un vecchio alveo del fiume Ombrone, la cui foce intorno al Settecento si è poi spostata più a sud. Su queste acque, da novembre ai primi di marzo vengono a svernare migliaia di gru e di oche selvatiche, insieme a gruppi di anatre e fenicotteri che si spostano continuamente fra qui e la Riserva naturale della Diaccia Botrona, che è quel che resta del padule di Castiglione. Gli uccelli dividono così la zona con volpi, cinghiali, daini e lupi, oltre che con mandrie di bovini maremmani al pascolo. Purtroppo, fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta si è estinta la lontra. Salvo alcuni “chiari” più profondi, d’estate la palude della Trappola si secca, e il paesaggio, per chi l’ha visto d’inverno, è irriconoscibile.

A sud, invece, nelle vicinanze di Bocca d’Ombrone, dove c’erano un tempo delle saline, si formano nella stagione invernale molti ristagni d’acqua, mentre ai piedi delle colline dell’Uccellina si trova il canale dello Scoglietto-Scoglietto, che dopo l’interramento della foce a mare si è trasformato in una stretta ma lunghissima palude, e uno dei pochi punti nel parco dove gli animali possono trovare acqua in ogni stagione. 

Le stagioni degli uccelli

Le aree umide sono ambienti di importanza ecologica, anche globale, soprattutto per gli uccelli. 

In primavera, decine di specie di uccelli provenienti dall’Africa passano di qui, e alcuni si fermano per riprodursi. Si tratta per lo più di limicoli, cioè di uccelli che cacciano piccoli invertebrati nelle rive fangose, come chiurlo maggiore, pivieressa, pettegola o piro piro piccolo, di mangiatori di pesci in mare come cormorani, beccapesci, sterna maggiore e sterna zampenere, oltre a rondini, gruccioni, ghiandaie marine, martin pescatori e usignoli. D’estate le paludi sono inospitali per gli uomini, per via del caldo e degli insetti, ma rappresentano un paradiso per gli uccelli. Alla fine della bella stagione questi uccelli si radunano e tornano in Africa. 

Le piogge di inizio autunno riempiono le aree paludose, e nel giro di alcune settimane arrivano molte specie di uccelli acquatici del Nordeuropa che vengono a passare qui i mesi più freddi. Nelle aree umide e nella pianura aperta del Parco si raduna così una delle maggiori concentrazioni in Europa di gru e di oche selvatiche, oltre che a numerosissime anatre come germani reali, alzavole, mestoloni e moriglioni.

Nei periodi di passo migratorio primaverile e autunnale, molte altre specie di uccelli si fermano qui per una sosta. Per loro le aree umide del Parco sono come un’isola nel mare, o un’oasi nel deserto, dove fermarsi qualche ora o qualche giorno e riprendere le forze senza essere disturbati.

Si fermano invece tutto l’anno molti ardeidi: airone cenerino, garzetta, airone guardabuoi.

Il ritorno del falco pescatore

Nelle saline di San Paolo, nei pressi di Bocca d’Ombrone, in un nido ben visibile in cima a un pino secco, nel 2011 è venuto a riprodursi il falco pescatore. Non accadeva in Italia da quasi cinquant’anni. Questo splendido rapace, che cattura pesci in mare o in acqua dolce tuffandosi fino a un metro, un metro e mezzo di profondità, si era estinto a causa del  bracconaggio, della predazione di uova e nidiacei e del degrado degli habitat costieri. 

Il suo ritorno è il risultato di una reintroduzione operata dall’uomo, cominciata nel 2006 e ripetuta ogni anno a giugno fino al 2010, con pulcini provenienti dalla vicina Corsica. I piccoli falchi, una volta cresciuti, alla fine dell’estate sono migrati verso sud per andare a trascorrere l’inverno al caldo, sulle coste della Sicilia, del Nordafrica e dell’Andalusia. I ricercatori hanno potuto seguire i loro spostamenti grazie agli anelli colorati di riconoscimento e soprattutto grazie a un trasmettitore GPS/GSM che ha restituito i dati dei viaggi migratori. Nel 2011, uno dei pulcini del primo anno, ormai diventato adulto, ha trovato una femmina e si è riprodotto proprio nel Parco della Maremma producendo i primi due pulcini “italiani” a oltre 48 anni dall’estinzione. Da allora si è verificato un graduale incremento delle coppie lungo questa parte della costa toscana, e a oggi la popolazione italiana di falco pescatore conta 7-8 coppie. La speranza è di ricostituire un’unica popolazione stabile fra Toscana, Corsica e Sardegna. Un contributo fondamentale per garantire il futuro di una specie di cui restano, in tutto il Mediterraneo, appena un centinaio di coppie riproduttive. 

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