Una storia antica
Lungo la strada o la ciclabile per Marina di Alberese è facile incontrare al pascolo i grandi bovini maremmani dalle lunghe corna. Il Parco è infatti uno dei pochi luoghi in cui ancora si pratica questa forma di allevamento brado, che è oggi ricordo e simbolo della Maremma di una volta. L’allevamento all’interno del Parco è portato avanti da alcune aziende private e dall’Ente Terre Regionali Toscane, un organismo della Regione che deriva dalla trasformazione dell’Azienda Regionale Agricola di Alberese
Quella maremmana è una razza antichissima. Non si sa con esattezza se questi animali siano discendenti diretti dei bovini – forse cretesi – importati in Italia dai primi agricoltori neolitici, oppure derivino anche da incroci con esemplari giunti in Italia con i barbari, ma vacche simili sono già ritratte nei dipinti di alcune tombe etrusche. Il loro allevamento brado deve essere comunque nato in epoca tardo-romana, quando la Maremma cominciò a essere divisa in grandi latifondi dai terreni spesso resi impervi da macchie e paludi.
Un animale fuori dal comune
La selezione, che dura da secoli, ha prodotto un animale straordinariamente robusto e frugale. La vacca maremmana è capace di stare anche sempre all’aperto, affrontando inverni gelidi ed estati torride, di muoversi e trovare da mangiare nella macchia spinosa come nelle paludi, e di difendersi dai predatori. I suoi muscoli sono molto forti. Gli unghioni, durissimi, sono adatti a qualsiasi tipo di terreno. La giogaia che dal collo scende fino al petto aiuta la termoregolazione anche quando fa più caldo. Le corna la aiutano invece a districarsi fra i rami della macchia. Il toro, che può raggiungere i 12 quintali di peso, le ha a forma di mezzaluna, mentre la femmina, sui 6-7 quintali, le ha a forma di lira.
Queste caratteristiche hanno fatto per secoli della maremmana anche l’animale da lavoro dell’agricoltore, che la allevava invece in stalla. Fino al secondo dopoguerra, era lei il “trattore” che trascinava il carro come qualsiasi tipo di attrezzo agricolo.
Allevamento al ritmo delle stagioni
Da sempre, la vita delle maremmane è scandita dai cicli naturali. Anche nel Parco della Maremma, la primavera si passa sui pascoli aperti o in pineta, dove le vacche possono trovare abbastanza erbe e arbusti per l’allattamento, non senza l’aggiunta se serve di fieno o paglia. Nell’estate vengono spostate nelle zone paludose, nei boschi e nei prati più ricchi di acqua. All’arrivo dell’inverno vengono spostate invece nei boschi o nella macchia, dove trovano riparo dal freddo e si possono nutrire anche di ghiande e altri frutti, oltre alle foglie delle piante sempreverdi.
I vitelli nascono, in genere uno alla volta, tra febbraio e maggio, dopo nove mesi di gravidanza. I piccoli restano con la madre, che li allatta, fino ai primi di ottobre, quando vengono svezzati perché la madre torni fertile. Fra marzo e agosto, in ogni branco di femmine viene messo un toro per l’accoppiamento, che viene accuratamente registrato, così come avviene per ogni nascita fin dalla fine dell’Ottocento. Nella sede della Tenuta dell’Alberese, a Spergolaia, si conservano i registri con i nomi, l’albero genealogico e il destino di tutti gli animali che sono nati e sono stati allevati qui.
Il buttero
La figura centrale dell’allevamento brado delle maremmane, comune fino un secolo fa in tutta la Maremma, toscana e laziale, sull’Amiata e nella Campagna Romana, è il buttero, un mandriano a cavallo. Solo a cavallo era infatti possibile governare centinaia di animali alla volta, su territori vastissimi.
Il lavoro del buttero è difficile e durissimo, residuo di tempi durissimi. Difficile, perché il buttero deve imparare a gestire ogni aspetto della vita dei bovini e anche dei cavalli maremmani, cosa che richiede anni di apprendistato sotto la guida di chi lo sa già fare, il capo-buttero. Durissimo, perché anche il buttero è sempre all’aperto, tutti i giorni e con qualsiasi tempo: un impegno totale, dal quale non si può staccare mai. Spetta a lui controllare, contare, spostare ed eventualmente recuperare nel folto della macchia gli animali, che deve conoscere uno per uno. Il suo lavoro diventa ancora più impegnativo in alcuni momenti dell’anno: la nascita dei vitelli, lo svezzamento (detto “spocciatura”), la merca (quando gli animali vanno marchiati) e la doma.
Il lavoro del buttero è anche pericoloso, perché dipende dal comportamento non sempre prevedibile sia del cavallo, sia delle maremmane. Cadute, zampate o incornare sono sempre dietro l’angolo.
Ci vuole quindi un’enorme passione per fare questo mestiere, che rispetto al passato comporta oggi anche una responsabilità in più: l’impegno a mantenere questa tradizione più che millenaria – che non si può studiare sui libri – senza interrompere il passaggio di consegne di buttero in buttero.