Un ritorno spontaneo
Dopo molti decenni di assenza, nel territorio del Parco della Maremma sono ritornati i lupi. Prima nel 2003 degli individui ibridati con il cane, in seguito scomparsi, poi nel 2015 un primo branco stabile, quindi un secondo nel 2017, e oggi ce n’è anche un terzo. I lupi naturalmente sono tornati da soli, anche se non sappiamo esattamente da dove. Forse hanno seguito quel grande corridoio ecologico che sono le rive del fiume Ombrone, che collega la costa tirrenica agli Appennini. Qui infatti sono sopravvissuti gli ultimi lupi italiani, che dopo secoli di caccia feroce e senza quartiere, erano ridotti negli anni Settanta a non più di un centinaio fra Toscana, Abruzzo e Calabria.
Da allora le cose sono cambiate perché il lupo è diventato una specie protetta dalla legge. Ma soprattutto perché nel corso degli ultimi decenni enormi territori in collina e in montagna sono stati abbandonati dall’agricoltura e dall’allevamento brado, e la natura – lupi compresi – se li sta riprendendo. La biologia ha fatto il resto, perché il lupo è estremamente adattabile agli ambienti più diversi, fa molti cuccioli, e si diffonde facilmente. I giovani di uno o due anni si allontanano dal branco e possono percorrere anche decine o addirittura centinaia di chilometri alla ricerca di nuovi territori, dove con altri giovani dell’altro sesso formeranno nuovi branchi.
Come nel Parco della Maremma, infatti, i lupi sono tornati a vivere stabilmente in circa la metà del territorio nazionale, dovunque ci siano boschi e grandi prede, ma si sono adattati a vivere anche in ambienti dove l’impronta umana è forte. Oggi ci sono branchi persino in Salento e nel Delta del Po, oltre che alle porte di grandi città come Roma. Secondo le stime del primo censimento nazionale, del 2022, coordinato dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, in Italia vivono circa 3300 lupi. Sarebbe stato quindi strano se non fossero tornati nel Parco della Maremma, dove possono trovare una grande abbondanza di prede, e dove sono seguiti e studiati dai ricercatori dell’Università di Siena, coordinati dal prof. Francesco Ferretti.
Il riequilibrio dell’ecosistema
Il ritorno del lupo nel Parco della Maremma è una buona notizia. Oggi, a seconda della stagione, i lupi sono fra i 15 e i 25 e svolgono un ruolo prima scoperto, quello di predatori al vertice delle catene alimentari. Il lupo mangia infatti soprattutto grossi mammiferi come cinghiali (circa il 45% delle sue prede) e daini (30%), ma anche caprioli e nutrie (5-7% ciascuno). L’abbondanza di queste prede fa sì che nel Parco solo il 4% della sua alimentazione sia costituita da bestiame domestico. Il restante 7% della dieta è costituito da frutti selvatici.
Il ritorno del lupo ha cambiato l’equilibrio dinamico dell’ecosistema, dove ogni specie è legata alle altre da rapporti anche molto complessi. Rispetto al passato, ad esempio, i daini sono più attivi di giorno, quando il lupo non esce a caccia, e alcuni studi preliminari suggeriscono che i cinghiali girano in gruppi più numerosi, per difendersi meglio, mentre la volpe ne ha tratto profitto perché si può nutrire anche dei resti delle carcasse delle sue prede.
L’effetto più importante del completamento delle catene alimentari è però il progressivo riequilibrio dell’ecosistema. In assenza di predatori, gli ungulati diventano troppo numerosi e a farne le spese è la vegetazione, soprattutto gli alberi e le piante del sottobosco, che fanno fatica a rinnovarsi. Per questo, nel Parco come nella maggior parte delle aree protette, gli ungulati devono essere tenuti sotto controllo ogni anno mediante abbattimenti selettivi. Da quando è tornato il lupo, però, nel Parco della Maremma gli interventi di contenimento di cinghiali e daini sono in netta diminuzione. La speranza è che dopo il riassestamento delle popolazioni di erbivori, ci siano anche una ripresa della vegetazione e della biodiversità vegetale, e che gli interventi di contenimento potranno essere sempre più limitati.
Quasi un fantasma
Nonostante siano una presenza così importante, quasi nessuno vede mai i lupi. Per riuscirci, il fotografo Alberto Pastorelli, che ha scattato le foto di questa pagina, ha impiegato cinque anni, con molte decine appostamenti all’alba e solo con l’aiuto di potenti teleobiettivi. Persino i ricercatori che passano settimane di seguito nel Parco per studiarli, frequentando anche le zone chiuse al pubblico, non li vedono quasi mai. Di giorno infatti i lupi restano ben nascosti nelle zone più inaccessibili, vanno a caccia dal tramonto all’alba, ed evitano accuratamente gli esseri umani, come fanno peraltro anche istrici, tassi e gatti selvatici. Come si fa allora a studiarli?
Per vederli non ci sono che le circa 60 fototrappole, anche a visione notturna, sparse nel Parco, che all’avvicinarsi di un animale girano brevi clip video. Per il resto, occorre studiarli a partire dalle tracce che lasciano: impronte, ma soprattutto escrementi. Ogni mese, i ricercatori percorrono 120 chilometri di sentieri per trovarli. Dal 2015 ne hanno raccolti oltre 3000 campioni, accuratamente catalogati e conservati in grandi congelatori, e poi analizzati in laboratorio per riconoscere le prede utilizzate e determinare la dieta. Dai campioni in migliore stato di conservazione è poi possibile estrarre il DNA dell’animale per determinarne il sesso e identificarlo “personalmente”.
Noi e il lupo
Tanto è sfuggente il lupo vero, tanto sembra onnipresente quello immaginario. Il lupo infatti non è un animale come gli altri, perché si porta dietro un enorme bagaglio mitologico, molto spesso nato dall’avversione dei pastori che si vedono sbranare i propri animali. È quindi normale che qualcuno, avendo tanto sentito parlare del “lupo cattivo”, all’idea di potersi trovare in un bosco con un lupo vero si chieda se possa essere pericoloso.
Storicamente degli attacchi di lupi a esseri umani in Italia ci sono stati, anche se dovuti per lo più ad animali affetti da rabbia, malattia che in Europa è stata eradicata. Dall’Ottocento però, da quando ha cominciato a essere cacciato con il fucile, attacchi a esseri umani non ce ne sono stati praticamente più perché i lupi hanno imparato a stare alla larga da noi. In base ai dati internazionali, comunque, la probabilità di essere attaccati da un lupo risulta così bassa da non poter neppure essere calcolata, sicuramente molto più bassa di quella di essere uccisi dalle vespe, da una vipera, o dal proprio cane.
Naturalmente anche tra gli animali, come tra gli esseri umani, ci possono essere individui più aggressivi degli altri, ed è per questo sempre bene evitare situazioni che consentano ai lupi di acquisire dimestichezza con noi e diventare confidenti. Questo potrebbe avvenire in certe condizioni con i giovani, naturalmente più curiosi, oppure con esemplari anziani, individui anziani o cacciati dal branco che non riescono più a procacciarsi il cibo da soli e si avvicinano per cercare rifiuti o cibo del picnic. Non bisogna quindi mai abituare animali come i lupi (o qualsiasi altro animale selvatico) a ottenere cibo dalle persone o dai nostri rifiuti.
Nei rarissimi casi in cui un lupo ha cominciato a perdere la paura dell’uomo e a manifestare comportamenti aggressivi, l’esemplare in questione viene comunque catturato e rimosso, per essere mantenuto in cattività.
Morale della storia: nell’improbabile eventualità che ci capitasse di avvistarne uno, non ci avviciniamo, non ci allontaniamo, e godiamoci lo spettacolo finché dura, probabilmente solo pochi attimi. E consideriamolo uno straordinario regalo.